Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/64


— 54 —

da fra il paese di Oronou e quello di Tibi. Da quest’ultimo paese erano convenute molte famiglie imparentate con quelle di Oronou, per prender parte alla pace.

Il posto è ameno, ombroso: un boschetto di quercie circonda la chiesetta che sembra una casupola con una croce sul tetto; un ruscello scorre poco distante fra due fila di oleandri selvatici e in lontananza si vede il mare.

I paesani avevano già acceso i fuochi per preparare il pranzo; come nelle feste campestri si vedevano molti carri alla cui ombra sedevan donne e fanciulle, e mentre i buoi e i cavalli pascolavano nei prati i cani saltellavano intorno alle bisacce colme di provviste e gli uomini sgozzavano gli agnelli per il banchetto.

Una donna magra e gialla, vestita di nero — quella che doveva diventare la mia matrigna — , mi tirò giù dal cavallo e mi condusse in chiesa. Un drappo verde copriva una lapide sulla parete a fianco dell’altare ornato di fiori campestri; un gran Cristo nero era disteso in mezzo alla chiesa sopra un antico tappeto giallo e le donne inginocchiate tutto intorno a questo quadrato d’oro pregavano sospirando, battendosi il petto e baciando il suolo.

La mia futura matrigna prese posto fra le donne intorno al Cristo, tenendomi sempre vicino a sè e anch’io mi inginocchiai e pregai. La chiesetta si riempì di gente. Il vescovo celebrò la messa e dopo il Vangelo s’avanzò sui gradini dell’altare per parlare al popolo: la sua voce era limpida e tonante, le sue parole d’amore, di minaccia, di rimprovero, d’esortazione alla pace, alla concordia, al lavoro, echeggiavano nella chiesetta facendo pianger le donne e curvar la testa sul petto agli uomini.

Finita la messa il prefetto in persona scoprì la