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tando con sè nella tomba il peso della calunnia. Tutti i giorni Pretu lo trovava a scrivere sul taccuino e gli domandava se scriveva la sua confessione.

— È lunga. Avete molti peccati, zio Jò! Ma li notate tutti, ad uno ad uno? Leggetemi un pezzetto della vostra confessione: vi giuro sulla mia coscienza che non lo ripeterò a nessuno....

Un giorno, — era ai primi di aprile e il tempo s’era di nuovo rasserenato, — Pretu arrivò saltellando su dal sentiero del ciglione e portò a Jorgi due violette umide, pallide e profumate. Un tremito agitò le povere mani dello studente: egli si portò le violette alle labbra, chiuse gli occhi, e le sue lagrime bagnarono i piccoli petali che rappresentano la primavera, la poesia, tutte le cose belle della vita che non gli appartenevano più!

Pretu guardava meravigliato.

— Che avete, zio Jò? Vi sentite male?

Ma d’improvviso il malato diventò allegro.

— Senti, Pretu, ti voglio leggere i miei peccati. Quando sarò morto tu porterai questo libretto al parroco....

— Ma se voi morrete egli verrà bene a confessarvi a voce....

— Egli disse che non tornava se non lo chiamavo; ed io non voglio chiamarlo più....

Il ragazzo portò il fornellino accanto alla porta e cominciò a preparare il pranzo.

Dal ciglione arrivava il profumo del timo e qualche grido d’uccello vibrava nel silenzio insolito della valle.

Jorgj trasse il taccuino di sotto al guanciale e cominciò a sfogliarlo. Egli non sapeva per chi aveva scritto quelle paginette, ma era contento di averle scritte; e si sentiva sollevato come uno che davvero ha fatto la sua confessione.