Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/55


— 45 —

letto e ogni tanto allungava la mano per bagnar la penna senza abbandonare con gli occhi il taccuino, non rispose neppure. Sembrava assorto nella sua scrittura come quando leggeva il libro dei Salmi.

Ma qualcuno battè alla porta: egli sollevò gli occhi ansiosi e si sentì battere il cuore sembrandogli ancora una volta che Pretu dopo aver spiato dalla fessura mormorasse: «È Columba....»

— È quella demonia nera, la serva del dottore: ha una bottiglia.... — disse il ragazzo sottovoce, avvicinandosi in punta di piedi al letto.

— Non aprire, no!

La serva picchiò di nuovo, poi se ne andò. Più tardi s’udirono passi nel cortile e Pretu guardò e vide il mendicante. Qualcuno picchiò ancora ma la porta rimase sempre chiusa.

Verso sera il cielo si coprì di nuvole e il vento fischiò e urlò nella valle. Pareva che parlasse davvero e raccontasse storie e leggende. A volte la sua voce era lontana e supplichevole: voce che implorava, che narrava una storia triste e domandava pietà, aiuto, conforto: nessuno l’ascoltava e allora la voce si avvicinava, diventava ardita, ripeteva la stessa storia, ma con accenti gagliardi, e domandava giustizia: nessuno rispondeva, nella sera verdastra che copriva di veli lividi il misterioso paesaggio: e per un attimo la voce taceva, come sbalordita che al mondo non esistesse più giustizia nè pietà; ma dopo qualche momento di silenzio profondo si levava un urlo di minaccia, seguito da lunghi gridi di vendetta, da fischi diabolici, da risate clamorose. Lo spirito dapprima timido poi ardito era diventato feroce e possente e si vendicava contro la natura impassibile al suo dolore. E sconvolgeva tutto, flagellando le pietre, le macchie, i fili d’erba più umili e innocenti: tra-