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un altro a righe, e un gabbano lungo col collo di pelo, come quello di vossignoria, ma più nuovo. Ha una cravatta color prugna selvatica, con un anello d’oro, e un altro anello alle dita, grosso come gli anelli che si fanno con le foglie della palma, a Pasqua.... I piedi son lunghi e sottili, e le scarpe hanno i bottoni....
Egli avrebbe proseguito chissà fino a quando con questi particolari, se il dottore non avesse gridato:
— Basta con queste scemezze! Di’ piuttosto com’è la sua voce.
— È una voce grossa, ma non come quella di vossignoria. Il Commissario poi è cavaliere, viene da Nuoro e, dicono, ha molti denari. E dicono che qui ci starà sei mesi e che si mangerà quattrocento scudi del comune.
— Bastassero! — disse il dottore, rivolgendosi a Pretu. — Ma questo vi sta bene, benone, benissimo! È il flagello che Dio vi manda, e ve ne accorgerete meglio un altro giorno. Io per me me ne lavo le mani, ottime bestie; io non ho mai voluto un voto vostro; mi vergognerei di far parte di un’amministrazione come la vostra, ma vi dico che adesso il flagello vi sta bene, benone!
Pretu sollevava il coperchio della cassa, aiutandosi con la testa per tenerlo aperto bene, e contava i denari del padrone, che lo preoccupavano molto più che i denari del Comune. Trasse una piccola salvietta bucata e la porse al malato che aveva versato la medicina dalla bottiglia nel bicchiere trangugiandola poi con supremo disgusto.
Dio mio, Dio mio. — mormorò Jorgj pulendosi le labbra e la lingua. — è meglio morire!
Andato via il dottore, Pretu disse:
— Ziu. Jò, là nella farmacia ho sentito dire