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— Dàllo a me quel latte: non senti che tosse che ho? Lo farò bollire con la malva.... Il tuo padrone parla male del paese, ma i denari li accumula, la casa se l’ha fatta, le vacche le ha comprate, che una palla gli trapassi il garetto! E non dà nulla a nessuno, neppure se lo ammazzano: solo a Jorgeddu, perchè è un miscredente come lui....
Ma la ragazza era taciturna: volgeva qua e là gli occhi diffidenti, si scuoteva dalla stretta delle donnicciuole e non rispondeva.
Solo se le donne parlavano troppo male del dottore diventava livida in viso e rispondeva qualche parola, ma così tagliente che le altre raddoppiavano le ingiurie.
Le loro voci stridenti arrivavano fino a Giorgio, mentre Pretu correva a curiosare e gli riferiva poi le cose orribili che le donnicciuole dicevano per lui e per il dottore. Allora Jorgj pregava Margherita di riportare via il latte: ma ella deponeva la bottiglia sulla cassa, si riavvolgeva nella sua gonna nera e se ne andava senza salutare, senza parlare, talvolta anche senza neppure guardare il malato. Egli la seguiva con lo sguardo turbato, e la sua mano diafana tremava lievemente fra le pieghe del lenzuolo: quella figurina silenziosa e nera dal profilo arabo, quel bel viso di sfinge paesana gli ricordava l’altra, quella che non veniva mai.
Un giorno anche il prete e zia Giuseppa Fiore e altre pietose persone del villaggio gli mandarono le loro serve con canestrini di pane e di vivande. Egli respinse tutto. Le donne che entravano da lui dimostravano più curiosità che pietà e gli rivolgevano domande indiscrete: l’umiliazione e la collera aumentavano allora il suo male; una vertigine angosciosa lo assaliva e non sapeva più quello che si dicesse.