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— E se invece fosse uno spirito? Oh, tu, — gridò verso il soffitto, — se sei anima buona va in ora buona, se sei anima mala va in ora mala....
La voce tacque.
— Avete visto, zio Jorgj? Tace! O è proprio la vostra matrigna o è proprio uno spirito! Ma quando io avrò il piffero suonerò e non si sentirà più. Lo avete chiesto al prete? No? Che testa avete! Non pensate mai a divertirvi.... Ma ecco il dottore!
Il rumore di un bastone ferrato risuonò sui ciottoli della strada; s’udì una voce di baritono che accennava un’aria del «Mefistofele» e una strana figura si avanzò inciampando sulle pietre del focolare. Pretu si ritirò quasi pauroso in un angolo e non aprì più bocca.
Il dottore sembrava un uomo del Nord, alto e grosso, vestito di un lungo soprabito di orbace con manichini e collo di volpe: un berretto della stessa pelliccia calato fin sulle orecchie confondeva i suoi peli con quelli di una gran barba rossiccia.
Due occhietti verdazzurri, or limpidi e infantili, or foschi e minacciosi, brillavano fra tutto quel pelame rossastro come due lucciole in mezzo ad una siepaglia secca.
Dopo aver battuto qua e là il bastone come per assicurarsi che il terreno era fermo, egli spinse col piede lo sgabello, vi si sedette pesantemente, e muovendo le grosse labbra rosse come se ruminasse allungò la mano pelosa per tastare il polso del malato.
Accanto a quella figura possente dai piedi che sembravano di bronzo e sul cui viso si spandeva il vapore dell’alito che usciva abbondante dalla bocca e dal grosso naso a scarpa, Giorgio pareva una statuetta di cera. Ma un’espressione