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qui come un amico, non come un prete. Parliamo d’altro, se volete, ma calmatevi!

Giorgio tese la mano come per respingerlo.

— No, no; è meglio che se ne vada.

Il prete si alzò: un lieve tremito di sdegno gli muoveva il labbro inferiore.

Per un momento rimase immobile davanti al letto, con le mani raccolte e la testa reclinata, perplesso, combattuto fra la collera e la pietà.

— Io me ne vado, allora. Ma sarò pronto ad ogni vostra chiamata.... Nessuno può volervi male, ed io meno di tutti.... ricordatevelo....

Giorgio non rispose. Provava come un’ebrezza di orgoglio, gli pareva di aver parlato con dignità e con sincerità. Eppure, rimasto solo non si calmò. Tremava, aveva paura di morire da un momento all’altro e invocava la presenza di Pretu. Per calmarsi riprese il libriccino dei Salmi e i suoi occhi corsero a caso sui versetti, come l’ape va qua e là sopra i fiori che crede più dolci.

«Nella fornace si provano i vasi di terra o nella tentazione della tribolazione gli uomini giusti.

«Periranno nel laccio quelli che si rallegrano della caduta dei giusti, e il dolore li struggerà prima che muoiano».

E la sera calò, fredda e limpida come una sera di autunno. Dal suo giaciglio il malato vide il vano del finestrino coprirsi come d’una lastra di cristallo verde e una stella, Venere, grande, senza raggi, luminosa come una piccola luna, brillarvi a lungo e tramontare dietro la linea dello sportello.

Da tanto tempo egli non aveva più veduto un simile spettacolo! Una gioia infinita lo invase: gli pareva che la stella avesso guardato entro il tugurio con uno sguardo d’amore. Ma