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che la mano del prete, posata timidamente sulla sua, era pallida e magra: si rassomigliavano, le loro due mani, come quelle d’una stessa persona, ma invece di intenerirsi Jorgj provò una sorda irritazione. Se il prete era malato, se sapeva che cosa era il dolore, doveva muoversi prima per confortare il suo simile. Egli aveva tardato troppo: oramai Jorgj lo metteva nel numero dei suoi nemici.
Ma l’altro intuì subito quest’avversione e cercò di scusarsi:
— Solo stamattina ho saputo del suo ritorno.... Se no sarei venuto subito, sebbene mi tormentasse un po’ di febbre.
Sedette e guardò con insistenza i libri che erano sul tavolo.
— Eppoi il tempo era così brutto!... disse Giorgio con voce amara, e altre frasi scortesi gli salirono alle labbra; ma si frenò, al solito, anche perchè era certo che il prete lo avrebbe in qualche modo provocato. Allora toccava a lui parlare.
— È da molto tempo così malato? Come ha cominciato la sua malattia?
— Non so.... il medico dice ch’è una forma di nevrastenia acutissima: forse e senza forse questa è una menzogna pietosa. Io credo sia una paralisi....
— Una paralisi non le avrebbe prodotto questi effetti. Sì, dev’essere una forma di nevrastenia.... La malattia del secolo! Anche i pastori, sullo montagne, anche lo donnicciuole dei villaggi se ne lamentano....
Egli parlava serio e con la buona intenzione di confortare il malato; ma Jorgj rispose ironico:
— Anche i pastori e le donnicciuole possono avere un’anima o meglio un sistema nervoso sensibile, e soffrire fino ad ammalarsi....