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Il prete fece un passo per andarsene, ma il vecchio lo richiamò.
— Pride Defrà, mi dica, come sta Jorgj Nieddu?
Il prete lo guardò sorpreso. Era la prima volta che il nonno domandava notizie di Jorgj. Ma appena ebbe la risposta: «sempre lo stesso» il vecchio spinse il cavallo verso il portone che la serva aveva spalancato e rientrò senza dir altro.
Prete Defraja andò fino alla chiesa e si mise a passeggiare sullo spiazzo. Le sue mani diafane e il suo pallido viso d’albino parevano al chiarore del crepuscolo più cerei del viso e delle mani di Jorgj.
Egli camminava su e giù: pareva recitasse le sue preghiere, tanto i suoi occhi erano velati e spesso rivolti al cielo; ma all’improvviso si fermò davanti al parapetto che dava sulla valle, si curvò alquanto, si mise una mano sul petto e cominciò a tossire. Tutto il suo viso parve gonfiarsi, diventò paonazzo, poi livido, poi ritornò scarno e pallido d’un pallore mortale. Sul fazzoletto ch’egli s’era avvicinato alla bocca rimase una macchia, rossa come i papaveri che zio Remundu aveva portato in mezzo all’erba. Allora s’appoggiò al parapetto; sentì le sue ginocchia tremare e la sua gola chiudersi come stretta da una catena ardente.
— È finita, — mormorò.
L’estate gli portava i suoi fiori sanguigni, e l’autunno l’avrebbe cosparso dei suoi crisantemi. Ed egli, egli non aveva nessuno che lo confortasse, e neppure il vetturale portava per lui, dalle azzurre lontananze dell’orizzonte, un soffio di vita e di sogno....
Egli invidiò Jorgj; ma poi si sollevò e si rimise a camminare, mentre dal paesetto salivano gridi di gioia e davanti alla chiesetta di San Gio-