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viandosi a casa sua. — La mia lingua non ha paura di nessuno, quando dice la verità.

— È perchè la sua borsa è piena, — mormorò zia Simona riprendendo la sua posizione ieratica. — Ma anche dicendo la verità bisogna aver paura di Dio.

Pretu non si era azzardato ad aprir bocca. Banna era la sola persona che gli destava soggezione, e d’altronde quel giorno egli aveva da pensare ai suoi piccoli intrighi e i fatti altrui lo interessavano meno del solito.

D’un balzo fu di nuovo nella stamberga e vide che il suo padrone, immobile anche lui sul suo guanciale bianco, col pallido viso illuminato dal riflesso del tramonto, conservava la sua espressione sognante, mentre quei due, il prete e il medico, continuavano la loro discussione.

Il dottore, tutto vestito di bianco, con un abito di tela pulito e stirato di recente (gli altri anni il medesimo vestito aveva sempre un colore di terra e di ruggine) dava forti pugni al giornale quasi volesse sfondarlo come una porta.

Lombroso basa le sue esperienze su ritagli di cronache di giornali, dice lei? — gridava rivolto al prete. — Ma io rispetto più un numero di giornale con la data di oggi, di ieri, di un mese fa, che tutti i vostri antichi scartafacci. Il giornale è la realtà, ottimo amico; tutto il resto, compresi i libri di storia, tutto il resto è fantasia. Ebbene, questi son fatti, questa è la verità; e questa brava donna che ha sognato suo figlio e s’è alzata ed è guarita è la prova che la nostra scienza non s’inganna.

Ma il prete sorrideva ironico e benevolo. Battè una sull’altra le mani bianche, sottili come quelle d’una donna, e guardò Jorgj.

— Basta, basta, dottore! Non discutiamo oltre, tanto è inutile. Del resto, nessuno sarà più