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tina Appeddu di tentare qualche rimedio per il mio padrone. «Se egli guarisce sposa la sorella del Commissario! le dissi. Ci aiuterà tutti, pensate; e se non volete farlo per questo, fatelo per amor di Cristo. Egli è lì che si consuma come un cero, il mio padrone; proviamo, proviamo qualche rimedio». Ella rifiutava; aveva paura del dottore, così grande amico di Jorgeddu. Allora sono ricorso a Simona, la figlia cieca di zia Martina; e sebbene Simona non abbia fiducia nei rimedi di sua madre, promise d’interessarsene.

— Ci vuole la fede; se non si crede in Dio non si riesce in nulla, — ripetè la serva di zio Remundu, immobile, gialla e ieratica sullo sfondo nero della porta.

In quel momento Banna, che tornava dal fare una visita a una sua comare, apparve nella straducola. Fiera, scalpitante, coperta di vesti grevi nonostante il caldo, con una catenella piena di amuleti attraverso il petto, ella guardò il ragazzo col suo solito sguardo sprezzante, e mentre si sbottonava i polsi della camicia riferì a zia Simona le chiacchiere della comare.

— Ah, zia Simona mia, se vedeste com’è bella la mia figlioccia! Aveva gli orecchini che le ho regalato io, belli come due stelle; sì, orecchini che costano due scudi l’uno. Ma quando io faccio un regalo non bado se quello che cavo di tasca è uno scudo o un reale; grazie a Dio si può far buona figura. Ebbene, comare Lisendra diceva che anche quella malandata di Margherita, la serva del dottore, deve fare un figlio.... Così egli raddoppierà la dote, se le troverà il marito....

— Piano! — mormorò la serva, accennando con la testa alla casa di Jorgj. — Egli è là.

— Ebbene, che m’importa? — disse Banna av-