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cessano. Cosa curiosa; spesso gli si riproduco l’identico sogno che tu gli hai raccontato, gli par d’essere al tuo posto, e prova un gran terrore parlando di te. «Che andavate a fare da lui? — gli chiesi. — Volevate confessargli ogni cosa?» Egli pensò alquanto, poi, forse suggestionato dalla mia domanda, rispose di sì. «Disgraziato, — gli dissi, — ma sapete tutto il male che avete causato? Voi adesso restituirete il mal tolto e andrete per qualche anno in prigione, ma i dispiaceri, il disonore, la malattia, i danni che avete causato a Jorgeddu come li sconterete?» Egli non rispose: che poteva dirmi, d’altronde? Rientrò il vecchio e anche davanti a lui Dionisi confessò di aver rubato i danari e diede indicazioni precise sul luogo ove li aveva nascosti.
Jorgj disse:
— Bisogna andare da zio Remundu e rimettersi a lui. Ma c’è una cosa ben più grave ancora.
Columba è venuta qui da me stanotte. Sapeva ella già di Dionisi?
— No, nessuno ancora lo sa! Ah, ella è venuta qui? Ah, raccontami!
E mentre Jorgj ripeteva il racconto che pareva quello di un sogno, il prete ascoltava turbato profondamente.
— La cosa è grave, sì, Jorgj! Se ella adesso viene a conoscere la storia di Dionisi è capace di fare uno scandalo e mandare a monte il suo matrimonio.
— Ed io non voglio! — disse Jorgj con forza.
— Tutto posso subire fuorchè l’amore di lei: io non l’amo più; la sua unica salvezza è il suo matrimonio col vedovo. Che se ne vada dunque; vivremo entrambi più tranquilli.
— Che fare allora?
— Tacere finchè ella non si sposa e se ne va.