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viene a confessare è il ladro dei denari di Remundu Corbu». Chi è? domandai. Sulle prime non volle rispondermi. Poi mi disse che si trattava di Dionisi Oro. «Jorgeddu mi aveva accennato ai suoi sospetti, — proseguì, — e quando seppi che Dionisi era sparito cominciai a dargli la caccia. Lo trovai nella chiesa di Sin Francesco, durante la festa, e lì cominciai a investirlo di domande e a minacciarlo. Egli negava, si fingeva sordo più di quello che è, ma aveva paura; poi un bel momento mi scappò di mano e sparì. Seppi che frequentava un ovile nei dintorni di San Francesco e andai a cercarlo fin là: vedendomi allibì e cercò di sfuggirmi ancora, ma io lo indussi a seguirmi fino al mio ovile; là lo legai come un cane e minacciai di andare a chiamare i carabinieri se non mi raccontava come erano andate le cose. Egli stette due giorni silenzioso e cupo; finalmente diede in ismanie; cominciò a lamentarsi e a gemere e a darsi pugni sulla testa, e mi disse che voleva il prete e che solo a lui avrebbe confessato ogni cosa. Ecco perchè son venuto a chiamarla». Arrivammo all’ovile con quel tempaccio orribile ch’era ieri. Dionisi stava buttato per terra, ancora legato, e non tentava neppure di liberarsi. Lo feci slegare e sollevare; sembrava istupidito ed io rimproverai a zio Arras di averlo ridotto così; ma il vecchio disse a voce alta: «È il peccato mortale che lo ha ridotto così, non io». Allora Dionisi cominciò a tremare e mi disse che voleva confessarsi. Dopo la confessione mi raccontò che ogni notte vede in sogno San Francesco, vestito da pastore, con una gran barba e due occhi terribili, che gli ordina di restituire il mal tolto. Per placare il santo egli ha nascosto la cassettina rubata a zio Remundu dietro il muro di cinta del cortile di San Francesco; ma i sogni non