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sembravano melanconici o inospitali. Bisognava scappare presto; altrimenti avrebbe finito con l’ammalarsi anche lei nonostante le abluzioni e le disinfezioni che praticava ogni volta che tornava a casa dopo aver visitato Jorgj. Una cosa la tratteneva ancora; il fermo proposito di condurre suo fratello a far visita al malato; ma il Commissario era restio, aveva paura di fare un atto grave, quasi compromettente, contrario ai principii d’imparzialità assoluta che si era imposto nell’andar a governare un paese di puntigli come Oronou. I casi di Jorgj, riferiti e commentati quotidianamente da zia Giuseppa, dalla serva Lia, da Mariana e da tutte le conoscenze di questa, non lo commovevano più, o meglio non lo avevano mai commosso: egli ci scherzava su, e quando aveva tempo e voglia si divertiva anche a far stizzire le donne, zia Giuseppa in ispecial modo, mettendo in dubbio l’innocenza e la virtù del disgraziato studente. Riguardo alle visite di Mariana al malato, egli non vi si opponeva, anche perchè sapeva che sarebbe stato inutile, ma aveva quasi piacere che ella partisse, pur di sapere interrotta una relazione inutile a lei, noiosa per lui.

— Il disgraziato, poi, partita te, sarà più disgraziato di prima, — diceva a Mariana, nei brevi momenti che si vedevano intorno alla tavola di zia Giuseppa.

— Non sarà più disgraziato perchè almeno avrà un ricordo buono, fra tanti cattivi, e.... una speranza....

— Quale?

Ella sorrideva, guardando la florida bruna Lia che serviva a tavola silenziosa e tutta compresa da un sacro rispetto per l’alta dignità del Commissario. E Lia metteva sulla mensa, con una mano sola, un gran piatto con l’arrosto di montone per venti persone, pensando: «ella lo