vedo. Mio padre era un industriale; viaggiava di continuo, ed è morto che io ero bambina ancora. Mia madre, invece, non si mai mossa dal nostro paesetto, poco più grande di questo; ma essa è la donna «forte» della Bibbia, industre vegeta prudente: amministra il nostro patrimonio, ed a lei i miei fratelli devono la loro educazione e la loro fermezza di carattere. Ho anche una sorella maritata ad un nobile del mio paese, e che rassomiglia molto a mia madre: economa, buona massaia, il suo più gran divertimento è quello di andare alle festi campestri od a quelle delle piccole città. E con lei che ci siamo recate l’anno scorso alle feste di Nuoro. Io ho già molto viaggiato, invece: dei miei fratelli uno è al Ministero degli Interni, l’altro è capitano d’artiglieria ed ha sposato una donna ricca ed elegante, e l’altro è Giovanni Mariano, quello che è qui: essi mi vogliono con loro un po’ l’uno un po’ l’altro, ed io oggi son qui, nel suo eremo, signor Giorgio, domani sarò a Roma, in estate ad Anzio od a Viareggio, in autunno di nuovo nel mio paese umido e monotono, circondato di paludi, di canneti, con un orizzonte quasi sempre livido solcato dal volo delle folaghe e di altri uccellacci migratori. Laggiù io mi ubbriaco di noia e di melanconia. Abbiamo una casa che era un convento: davanti si stende la pianura pietrosa, desolata e infinita, con le paludi e il mare in fondo. Nuvole e corvi quanti ne voglio, signor Giorgio! Qui è un luogo di vita in confronto: è la Svizzera troglodita, o almeno di un’epoca anteriore a quella degli albergatori. La nostra casa è grande, simile a un alveare vuoto: i miei fratelli son partiti uno dopo l’altro, come partono quasi tutti i giovani intelligenti del paese, e solo di tanto in tanto ritornano, con le loro mogli e i loro figli. Mia madre tie-