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portata ad accomodare. Ma era per lei, non per me.... Eppoi lei si sporcherebbe.... e il suo vestito costa....

Ella si mise a ridere aggirandosi per la stamberga col desiderio di aprir la cassa e di frugarvi dentro.

— Il mio vestito? Sa quanto costa in tutto?

Sedici lire: l’ho fatto io; cosa crede, ch’io sia buona a far niente? Faccio tutto, in casa. Lei sperava forse ch’io fossi una duchessa?

— Lei è una regina. — egli disse galantemente; ma ella cominciò a sospirare.

— Ah, quante cose mi mancano per esser regina!

— Che le manca? E sana, bella, giovine....

— Giovine? Lei crede ch’io sia giovine? Ah, come s’inganna, signor Giorgio! Io non le dirò mai gli anni che ho; neanche se mi dà mezzo milione glielo dico: e se anche glielo dicessi, lei non ci creda perchè non sarà mai la cifra giusta!... Del resto, — aggiunse riprendendo la sua borsa e rimettendosi a sedere accanto a lui, — che importano gli anni? A volte ci sembra di averne sedici e sedici ne abbiamo davvero; a volte ci sembra di averne cento e tanti ne abbiamo.

— E vero, è vero! — egli disse con fervore.

E ricominciarono le piccole confidenze, lo scambio dei pensieri, le citazioni di versi: era come un gioco dolce e puerile, un andare e venire di frasi innocenti, di aforismi, di innocui paradossi, di complimenti. Ma nonostante l’eccitazione che lo animava facendogli dimenticare di essere infermo, Jorgj si sentiva stanco. Aveva troppo parlato; i suoi occhi s’erano cerchiati d’azzurro, la sua mano tremava; il sole salito sul letto gli portava la sua carezza quotidiana, ma da amico appassionato sembrava geloso della straniera e