Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 191 — |
me il rumore di un piccolo zampillo anche le mosche s’addormentassero, egli non potè chiuder occhio. Da qualche giorno la sonnolenza in cui prima rimaneva continuamente immerso lo aveva abbandonato; una smania di vita lo agitava e non potendo muoversi pensava. Le idee più strane e confuse, ora torbide ora luminose, passavano nella sua mente come le nuvole sul cielo primaverile.
Sopratutto pensava e ripensava al furto misterioso di cui il nonno s’era detto vittima. In realtà la vittima era stata lui, ma si domandava se a sua volta non commetteva un’ingiustizia accusando il vecchio di simulazione di reato. E se il furto era stato commesso davvero? Da chi? Il vecchio certo lo sapeva, e taceva per odio; ma forse dopo le nozze di Columba avrebbe parlato. Da chi? Da chi? si domandava Jorgj. Il contegno strano del mendicante, le sue visite frequenti, gli davan l’idea che l’uomo fosse attirato nella stamberga da un fascino misterioso, lo stesso che attira il delinquente verso il luogo ove ha commesso il delitto.
Jorgj si meravigliava di non aver prima di quel tempo tentato di scoprire il vero colpevole; ma di giorno in giorno, dopo i regali e le lettere della sua nuova amica, il desiderio della riabilitazione diventava in lui volontà ferma e cosciente.
Come attirato dalla suggestione di questa volontà, ecco ad un tratto l’uomo s’affacciò alla porta, spandendo nella stamberga il suo cattivo odore di stracci.
— Vieni avanti. Che nuove nel mondo? — gridò Jorgj.
Dionisi s’avanzò guardando fisso coi suoi occhi rotondi e verdastri lo sfondo del cielo azzurro solcato di nuvole bianchiccie.