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Potessi farle renderò giustizia, dirlo come Cristo a Lazzaro: sorgi e cammina!»

— Sorgi e cammina, sorgi e cammina! — egli ripetè dieci, cento volte, fissando di nuovo la fiammella: poscia cercò nel libriccino la parabola di Lazzaro.

Nella tiepida sera vibravano in lontananza i canti dei giovani pastori innamorati; egli aspettava ancora, e l’inquietudine e la speranza con cui per settimane e mesi aveva atteso Columba erano nulla in paragone dell’attesa presente. La donna che doveva irradiare con la sua presenza la stamberga rappresentava per lui la civiltà lontana, la giustizia, la pietà, tutte le cose più grandi della vita. Già dalle chiacchiere del servetto quando gli riferiva i discorsi delle donne nella strada capiva che la sua riabilitazione era cominciata e gli aforismi del vecchio bandito gli tornavano in mente. «Il tempo è il solo giudice. Pazienza e coraggio i soli incorruttibili testimoni». E le parole della sua nuova amica gli vibravano oramai nel sangue. «Sorgi e cammina; sorgi e cammina!»

Preso da un folle impeto di speranza tentò di sollevarsi, ma ricadde vinto dalla vertigine. In quel momento, attraverso una specie di vapore che roteava attorno a lui come un velo spinto dal vento, gli sembrò di veder la porta aprirsi e l’orlo giallo della gonna di Columba apparire nella fissura; poi tutto sparve, egli credette ad un’allucinazione e come gli avveniva sempre dopo un accesso di vertigine cadde in un sonno profondo.

L’indomani mattina fece pulir bene la casa ed il cortile.

Dopo mezzogiorno, sebbene Pretu suonasse le sue «leoneddas» d’avena seduto all’ombra fuor della porta, e a quel ronzìo dolce monotono co-