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— Oh. se egli ne volesse, tutti, tutti gliene darebbero, persino Dionisi!

— Io penso sia la sorella del Commissario a mandar regali a Jorgeddu, — riprese la vecchia.

— Sì, quella è caritatevole: a una figlia di Caterina Farre dà due lire perchè stia ferma un momento davanti a lei, per dipingerla....

— Ah, questo non vuol dire. A Margherita voleva dare dieci lire; ma voleva dipingerla nuda!

Banna diede un grido selvaggio d’orrore e si ritirò scandalizzata; allora Pretu s’avvicinò a Columba che rimaneva come pietrificata sulla soglia e le disse: — Datemela, un’arancia, dunque! Non mi darete il mondo.

— Passa più tardi, — ella mormorò.



Più tardi Pretu ripassò. Il nonno era partito, le donne s’erano ritirate, in lontananza s’udivano i canti e le grida degli ubbriachi che avevan festeggiato la Pasqua bevendo come otri: coppie di amici (in quel giorno tutti erano amici e compari) passavano ancora nella straducola, sostenendosi a vicenda, chiamandosi scambievolmente «frate meu» e accomodandosi sul capo la berretta che non voleva star ferma. Tutti avevano le tasche gonfie di arancio da portare ai loro bambini e alle loro donne; pareva che un soffio di allegria e di amore passasse sul paesetto disperdendo gli ultimi ricordi di odio: persino i canti degli ubbriachi avevano una cadenza di tenerezza selvaggia.

— Me la date dunque quest’arancia? susurrò Pretu dalla fessura della porta.