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quando videro Columba la salutarono con un rozzo cenno del capo, da sotto in su, e un vecchio le domandò: — E che fai qui, Columba?
Allora ella andò in fondo al corridoio e uscì in un balcone che ne rasentava un altro dall’attigua casa di zia Giuseppa Fiore. Di lassù si vedeva la parte occidentale del paese, la chiesa nera e grigia fra le roccie, lo sfondo del paesaggio chiuso dalla linea dell’altipiano: la luce del mattino coloriva d’azzurro tutte le cose, il sole dorava i vetri delle finestruole e in una di queste, in una casupola nera sgretolata, si sporgeva una bella fanciulla in corsetto di panno giallo: tale un ranuncolo fiorente sul muro di una rovina.
Ma tutta l’attenzione di Columba si fermava al balcone attiguo le cui imposte erano aperte; una scarpetta bianca stava sullo scalino, ed ella la fissava come un oggetto straordinario e si sentiva battere il cuore. A un tratto altre due scarpette nere con la fibbia dorata apparvero accanto alla prima, Columba si scostò fino all’angolo più lontano del balcone con un moto quasi di paura ma immediatamente ebbe coscienza di ciò che provava e s’irrigidì. Perchè doveva, aver paura di quella piccola ragazza straniera che si permetteva di immischiarsi nei fatti altrui?
Eccola, appunto! Scende con un piccolo salto lo scalino e si ferma sul balcone, a tre metri di distanza da Columba. Sembra una bambina, con la sua veste bianca corta, i capelli neri e lucenti annodati con due nastri sulle orecchie, il viso pallido e pienotto emergente da un alto colletto verdognolo a due punte come un bocciolo di rosa dal calice spaccato. I suoi grandi occhi d’un nero dorato hanno come una perla in fondo alla pupilla, e si volgono rapidamente in giro, prima seguendo il semicerchio dell’orizzon-