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ba; nè il fulgore dei gioielli che piano piano, con cautela, quasi esitando il fidanzato teneva dal cofanetto e deponeva davanti a lei sulla tovaglia valse a dissiparla.
Dapprima furono due bottoni in filignina d’oro, simili a due fragole gialle unite fra loro da un nastrino verde; poi altri bottoni in argento per lo maniche del giubboncello, spille, un rosario di madreperla con una medaglia bizantina applicata sopra una croce d’oro; una collana di corallo che sembrava fatta di goccie di sangue; e infine orecchini e anelli con «predas de ogu»1 d’un rosso pallido sfumato in avorio come i petali non ancor dischiusi della rosa, o con pietre gialle e verdi liquide e brillanti come goccie di rugiada e di miele. Eran tutti gioielli antichi, pesanti e quasi rozzi, fatti apposta per esser toccati da dita ruvide come quelle di Zuampredu Cannas. Banna gettava un grido di ammirazione ad ogni gioiello che veniva fuori dal cofanetto; i suoi occhi brillavano come riflettendo il luccichio dell’oro e delle pietre, mentre Columba guardava immobile, pallida, affascinata ma non commossa dalla ricchezza dei doni.
Il vecchio guardava anche lui; non s’intendeva di simili cose e disprezzava le cianfrusaglie, ma sapeva che accettando i doni Columba s’impegnava a sposare il Cannas; presiedeva quindi con una certa solennità alla cerimonia così semplice in apparenza ma che aveva un profondo significato. Ma Columba taceva troppo, e di nuovo un lieve imbarazzo si sparse sul viso di tutti. Banua disse, toccando gli anelli:
— Misura, sorella mia, misura, non vedi che sembran gli anelli della Madonna del Miracolo?
Li misurava lei, mentre suo marito prendeva
- ↑ Pietre di fuoco; coralli.