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— Siediti, Zuampredu Cannas! Parla col cuore in mano, poichè sei in casa di gente che apprezza i tuoi meriti. La tua cavalla è collocata bene? Le hai dato da mangiare, Colù?

Volle assicurarsi coi propri occhi e uscito nel cortile palpò i fianchi della cavalla.

— Sta bene, — disse rientrando. — È grassa, adesso; pare gravida.

— Sì, lo è, — rispose Zuampredu pensieroso. — Perciò ho camminato piano; non voglio che perda il puledro come l’anno scorso.

— Una volta io ho avuto una giumenta che quando era in quello stato voleva sempre camminare, — rispose il vecchio; e mentre Columba aiutata da Banna apparecchiava la tavola i due uomini parlarono di cavalli e di vacche come se null’altro esistesse al mondo.

D’altronde Columba dopo le prime frasi di saluto non aveva più rivolta la parola al fidanzato, e Banna, che nel pomeriggio aveva veduto Pretu fermo a parlar con la sorella, frenava a stento la sua rabbia.

«Ogni volta che quel piccolo ruffiano si ferma davanti alla nostra porta pare che Columba veda un uccello di malaugurio, — pensava. — Tace, ha gli occhi cupi e sembra che una malìa la opprima».

Anche lei provava la stessa penosa impressione che talvolta rattristava il nonno; le pareva che un pericolo li minacciasse; allora per nascondere i suoi timori fingeva un’allegria maligna e il suo viso prendeva un’espressione enigmatica, di cattiva sfinge. Ma Columba conosceva quella maschera e aspettava una sola parola per prorompere, per ribellarsi, pronta alla lotta come la fiera, che solo il fascino del domatore tiene apparentemente soggiogata.

Apparecchiata la tavola Banna andò via per-