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IV.
Zuampredu Cannas, fermatosi a metà strada fra il suo e il paese della fidanzata, smontò e tolse la briglia alla sua cavalla. Mentre la bestia si abbeverava al fiumicello, egli si guardò attorno pensando che là forse avrebbe fatto tappa con la sposa e col corteggio dei parenti quando, dopo le nozze, avrebbe condotto Columba a Tibi.
Il luogo era adatto alla sosta; poco distante sorgeva la chiesetta ove tanti anni prima eran state celebrate le «paci», e qua e là nella grandiosa desolazione dell’altipiano qualche quercia circondata di querciuoli come una madre possente da figli già grandi e forti, gettava la sua ombra sul fieno fresco e sulle macchie di ginestra coperte di granellini d’oro. Anche gli oleandri che seguivano la linea del fiumicello cominciavano a coprirsi di bocciuoli rossi; tutto era dolce e puro in quel luogo di pace.
«Se si parte presto, si può far qui anche un piccolo banchetto, — pensa il grosso fidanzato volgendo qua e là i begli occhi castanei mentre la cavalla si scuote e dalla sua briglia sprizzano goccio scintillanti. — C’è la legna, c’è l’acqua; si potrebbero cuocere anche i maccheroni».
E gli sembra di veder i cavalli legati alle quercie, Columba seduta sull’erba, il fuoco acceso fra tre pietre e uno spiedo che gira accanto alla brage. Soddisfatto egli rimonta in sella, e in breve la sua figura che a cavallo sembra imponente ed ha qualcosa di barbarico e di patriarcale assieme, diventa una macchietta nera, la sola che si