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l’insolita gioia che traspariva dal viso di Jorgj. Anche lui era allegro, il dottore, rideva delle cose che raccontava — un’avventura di caccia, una specie di conflitto con le guardie forestali che lo avevano sopreso nel bosco a tirare ad una pernice.
— Ma è il tempo della cova, dottore; perchè lei va a caccia adesso?
— Ah, ah, è il tempo della cova? Sì, è primavera, hai ragione; ma che il cacciatore in primavera non è un uomo? E uomo come tutti gli altri, e va in campagna; e se non caccia che cosa deve fare? mettersi sotto un albero a sognare una donna? Il cacciatore non è un poeta; egli ha bisogno di uscire, in queste belle giornate, di lasciare quella galera aperta che è il paese e respirare aria che non sappia di immondezza. E quando è là, fuori, dimentica chi è e perchè è uscito dal paese; fra lui e il cielo non c’è che la pernice: l’unico scopo della sua vita, in quel momento, è di far cadere la pernice. Se questo non avviene egli soffre, egli non si ritiene più un uomo vivo, un essere che possa spiegarsi il perchè della sua stupida esistenza....
— Egli è un selvaggio.... Tolstoi....
— Andate all’inferno, tu e il tuo Tolstoi, io amo quello che mi pare e piace; la caccia, il tabacco, il vino se occorre.... Tu e Tolstoi non mi seccate.... Io non faccio male a nessuno: gli animali non soffrono; io son qui grande e grosso e vivrò a lungo, mentre tu col tuo amore per il prossimo ti sei legate le gambe, hai fatto come le monache che si chiudono da sè in prigione.
Io voglio esser libero, libero (urlava e tutta la stamberga tremava per i suoi colpi di bastone) e infischiarmi di tutti, barbari o degenerati che siate. Io vado dove mi pare e piace, e il cinghiaie e il falco sono i soli nemici che io mi