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riva lo sposo per le pubblicazioni, e le porterà i doni; dicevano là, nella strada, ch’egli si farà accompagnare da due carabinieri, tanto valore porta....

Gli occhi di Jorgj si riempirono di lagrime.

— Ebbene, che tutto sia finito, — pensò volgendo il viso al soffitto, — che ella si sposi e che se ne vada. Dopo, forse, mi ridoneranno la fama.... Ma che importa anche questo? C’è ancora al mondo qualcuno che mi stima, se mi manda dei fiori....

Ed era questo pensiero, non la notizia dell’arrivo dello sposo, che lo faceva piangere: il suo pianto era di amore, non di dolore, e rinfrescava le sue palpebre come sponde riarse.

Il dottore tardava, quella sera. Finalmente nel silenzio del cortile s’udì un suono di passi lenti rumorosi e un canto che voleva esser triste e solenne ed era grottesco come il pianto d’un uomo forte.

Dai campi, dai prati....


Il servetto aprì e l’omone precipitò dentro col suo bastone, i suoi piedi pesanti, il suo berretto e il suo collo di pelo: forse per effetto di questo, poichè la notte era tiepida, egli era più rosso del solito; come un brillante velo di sudore gli copriva il volto e i suoi occhi splendevano.

Mentre Pretu si teneva fermo davanti allo sgabello pronto a levar la cassetta, il dottore preso il polso di Jorgj.

— E va benone! Come passiamo il tempo?

— Bene. Leva quella scatola, Pretu.

La voce del malato era dolce, debole. Il ragazzo sollevò la cassetta fra le braccia e stette fermo ostinatamente davanti al dottore; ma questi sedette, allungò la gamba, battè per terra il bastone senza accorgersi della novità e del-

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