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mendicante gli dicesse qualche cosa di straordinario.

L’uomo però parlava poco e incoerentemente.

— Ebbene, Dionisi, che c’è di nuovo nel mondo? Sei andato ad ascoltar le prediche?

— Che, che, cuoricino mio!... Gli eremiti, in quel tempo, quando gli uomini non avevano malizia, mangiavano i cani....

— E adesso che han malizia mangiano i vitelli, e fan bene! — gridò Pretu, dandogli in malo modo la focaccia.

— Dico, sei stato a confessarti? Siamo di quaresima! — gridò Jorgj.

— Siete stato a confessarvi? — gli gridò Pretu all’orecchio.

L’uomo trasalì e s’irritò.

— Eh, non son sordo a quel punto! Sì, sono stato in chiesa. Bei sermoni, sì! Pare San Francesco. (Si segnò baciando le sue medaglie).

— Chi?

— Chi? — urlò Pretu.

— Ma vattene, lasciami in pace le orecchie. Dico, prete Defraja, che una palla gli trapassi la saccoccia.

— È vero, — ammise Pretu. — Egli predica che sembra un piccolo santo: la voce non è grossa, ma fa pianger la gente. L’ha detto mia madre.

— Allora è tempo di pensare ai peccati e convertirsi. Gridaglielo, Pretu.

— Allora è tempo di confessare i vostri peccati, — tradusse il servetto all’orecchio di Dionisi Oro.

— Tutti siamo in peccato mortale, — rispose il mendicante; poi non parlò più, per quante insolenze il ragazzo gli gridasse, ma continuò a guardarsi attorno, e finalmente s’avviò per andarsene volgendosi ogni tanto a fissare il soffitto corroso.