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ai miei tempi, quando avevo i garetti come quelli dei cervi; ed ecco vedo un uomo che coglie scope. Io passo dritto, ma lui mi chiama. «Salute l’amico, salute l’amico!» Ebbene, e non riconosco in lui un mio amico di fanciullezza, il figlio di Sadurru Chessa di Tibi? Sadurru Chessa era ricco, nipote mia; aveva trecento vacche figliate. Suo figlio aveva persino studiato per diventar dottore, ma segui i consigli di questo, segui i consigli di quello, egli interruppe gli studi, si diede al commercio, fece tutti i mestieri, si mangiò tutto il patrimonio, cadde in miseria e finì col fare lo scoparo! Così ti dico, piccola colomba mia, fa’ quello che vuoi, non seguire i consigli di nessuno!
Columba non rispose: era ricaduta nel suo solito mutismo, ma pareva che le parole del nonno l’avessero calmata; il suo viso e i suoi occhi avevano ripreso la loro abituale espressione.
— Va’, va’ a letto, — egli proseguì, curvandosi a prendere un’altra piccola brage, poichè la pipa s’ora spenta, — dormi sette ore e vedrai che i mosconi cesseranno di ronzare. Domenica delle Palme verrà Zuampredu per le pubblicazioni: poi verrà il giorno delle nozze, e ve ne andrete: andrai al suo ovile, conterai le sue vacche, avrai in consegna il denaro per pagar i servi. Pensieri non te ne mancheranno; allora i mosconi potranno anche pungerti e tu non scuoterai neppur la testa por scacciarli via.
Columba si alzò, obbediente come una bimba, accese il suo lumino d’ottone rotondo e dondolante come una piccola arancia; chiuse la porta di strada sprangandola con un palo di ferro.
— Columba, — disse il vecchio mentr’ella s’avviava, per andare a letto. Hai pagato Martina Appeddu?
Non ha voluto.