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che stava seduto sulle pietre davanti alla sua porticina e baciava di tanto in tanto le sue medaglie). Anche quello viene, dalla parte di là, e si mette davanti alla porta perchè zio Jorgj lo veda e lo chiami: finge di non sentire, ma poi si avanza, piano, piano, entra, si mette a sedere e sospira. «Perchè sospirate? gli dico io, che una palla vi sfiori la bisaccia; andatevene, che siete più ricco di noi». Zio Jorgj non vuole, che gli parli così, e sta a guardarselo come un oggetto raro. Bell’oggetto! Quando va via io passo la scopa dov’egli s’è seduto. Bene; sapete cosa e successo? L’altro giorno Dionisi Oro gemeva; il mio padrone lo ha interrogato, e lui finalmente disse che l’esattore deve metter all’asta la sua tana perchè non ha pagato l’imposta: novanta centesimi, e con le spese una lira e nove reali, sì, proprio tanto. Ebbene, e quello stupido del mio padrone non mi ha fatto aprir la cassa per darglieli? Ah, sì, allora gridai, così si fanno volare i denari? E a noi chi ci aiuta poi? Il corvo? E il mio padrone mi diceva: ficcati nei fatti tuoi, Pretu! Ma io cacciai via Dionisi, e lo rincorsi gridando: guai a te se prendi il denaro, ladrone! Egli scappò via spaventato.
Ma Columba non gli dava più retta e guardava in fondo alla strada.
— Ziu Remundu arriva, — annunziò Pretu correndo via rapidamente col suo soldo stretto nel pugno.
Mentre la sua agile figurina spariva sull’alto della viuzza, verso lo sfondo lucido dell’orizzonte, dallo sfondo cinereo della strada campestre saliva la figura nera di ziu Remundu. Era a cavallo, seduto fra due grandi bisaccie colme: un odore di erba e di latte cagliato si spandeva al suo passaggio.