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La donna, placata, la seguì.
Columba rimase nella cucina, e pareva calma, indifferente, tanto indifferente che neppure i suoi vestiti da sposa la interessavano più: ma all’improvviso, mentre rimetteva a posto il vassoio, si fermò accanto alla porta del cortile come tendendo l’orecchio a una voce lontana, e piano piano il suo viso si curvò sino a sfiorarle il petto, si allungò, parve quello di una vecchia di sessant’anni.
Una specie di allucinazione che da qualche tempo la tormentava le fece vedere Jorgj come glielo descrivevano le sue vicine di casa, steso immobile sul letto, ridotto come uno scheletro. Il cuore le batteva violentemente; gli occhi le si velarono. Fu un attimo; sollevò la testa e si rimise a sfaccendare.
Ma l’idea fissa che da mesi e mesi la divorava non l’abbandonò.
«O egli ha rubato davvero, o ha finto di sdegnarsi perchè non mi voleva più e cercava una scusa per abbandonarmi. Il nonno e Banna avevano ragione, — pensava. — Egli non mi voleva bene; no, no; se egli mi avesse voluto bene si sarebbe comportato in altro modo.... mentre io.... io lo amavo al punto che gli avrei perdonato anche se avesse rubato davvero.... Ma egli non poteva soffrirmi.... Io ho aspettato che egli tornasse, dopo l’ultima volta che ci siamo veduti qui, davanti a questo focolare; ed egli invece ha aperto una nuova porta, nella sua stamberga, per non passar più neppure davanti alla mia casa. Che egli dunque se ne stia con la sua miseria e la sua mala sorte, con la sua superbia e la sua cattiveria. Io non voglio più pensare a lui: egli per me è come morto. Ben gli sta, ben gli sta! Lo ha voluto lui. Pensavo a Zuampredu Cannas, io? È stato lui il primo a dirmi che