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e levò e scosse la salvietta che la copriva: apparve un mucchio di stoffe nere, verdi e gialle....

— Ecco; e che tu possa indossarla con allegria fino a cento anni, — disse con accento commosso sollevando sulle sue mani scarne la gonna di sposa di Columba, di orbace nero orlata di panno verde; dopo la gonna prese il giubbone di panno giallo soffiandovi su per togliervi qualche pelo e qualche filo; dopo il giubbone il corsettino di velluto verde e di broccato d’oro.

— Nessuno, colomba mia bianca, nessuno avrebbe potuto farteli così. Guardali; non pare che sian cuciti dalle fate? Guarda queste camicie! Non sembran nuvole? Vedi i punti del giubbone? E i soprapunti? Ne hai visti mai degli uguali! Se tu mi assicuri che ne hai veduto degli eguali io mi chiudo la bocca con la stoppa e non la riapro più. Ma che hai, colomba mia? Sei pallida e bianca: non ti senti bene? O sei scontenta della roba?

Columba guardava il corsettino volgendolo e rivolgendolo alla luce, soffiava lievemente sulla peluria finissima della stoffa e pareva scontenta. Una ruga s’ergeva a tratti fra le sue sopracciglia nere; e quando la donna accennò al suo pallore, ella sollevò alquanto gli occhi un po’ torbidi, ma li ribassò tosto e disse con disprezzo: — È già la quarta volta che mi dite che sto poco bene, zia Marti! E che volete farmi la medicina della strega?

— In certi giorni davvero tu sembri stregata. Ma tu non ti sei mai voluta misurare. Sai bene che se le tue braccia si sono accorciate è segno evidente che la strige è passata sul tuo capo e tu ti consumi sotto il suo influsso malefico....

— Lasciamo andare; io non sono stregata, zia Martì! Fate per altri i vostri incantesimi.

Deledda. Colombi e sparvieri. 8