Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/118


— 108 —

— Ella ha risposto «buon viaggio» e si tirò il fazzoletto sugli occhi, — mi riferì il ragazzo.

Preparai dunque la valigia e mi disponevo ad uscire quando qualcuno battè lievemente alla porta del cortiletto. «È Columba, — pensai — era impossibile che non venisse».

Aprii e mi parve di soffocare. Era il brigadiere che veniva a perquisire la mia stamberga. Entrò, grasso e calmo, volgendo intorno gli occhi sonnolenti come ricercasse un oggetto smarrito; poi mi pregò di aprire la valigia.

Obbedii, vinto da una suggestione di terrore; ed egli frugò destramente, senza parlare, senza far rumore, sfiorando appena gli oggetti con le sue mani grasse e pelose. Il volto rosso solcato da due lunghi baffi gialli aveva un’espressione di noia. Ogni tanto gonfiava le guancie e sbuffava come sdegnato contro chi lo costringeva a quell’operazione umiliante e infruttuosa.

Dopo la valigia mi pregò di aprire la cassa. Allora il mio stupore pauroso si mutò in rabbia. Cominciai a tremare, ma per frenarmi corsi fuori nel cortile.

Le donnicciuole s’erano già accorte della visita e curiosavano nella strada; la porta di Columba era chiusa, ma il viso felino di Banna appariva ad una finestra.

Allora io ritornai in me. No, bisognava difendersi, sfuggire all’agguato.

Rientrai e la figura del brigadiere ancora curvo a frugare entro la cassa mi parve grottesca e compassionevole. Egli cercava una cosa che non c’era, ch’egli sapeva che non c’era. Così noi tutti nella vita ci affanniamo a cercare qualcosa che siamo già rassegnati a non trovare.

Terminata la perquisizione io fissai negli occhi il brigadiere dicendogli: