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— E tu ne parli, intanto; ne parli con me. Perchè?
— Con te.... con te.... perchè è necessario.... Mi cacci pur via; ma con te bisogna parlarne....
— E perchè con me, Columba, perchè? Che posso farci, io?
La presi per le braccia e la guardai negli occhi. Ella diventò livida e il suo volto parve gonfiarsi e poi contrarsi per uno spasimo fisico. Infine scoppiò in un pianto rabbioso e disperato, gemendo e scuotendosi come per il bisogno spasmodico di liberarsi da un incubo. La lasciai ed ella cadde a sedere sulla pietra del focolare. Si strappò il fazzoletto, si sciolse le treccie, si diede graffi e pugni sempre gemendo a denti stretti come lottando contro il desiderio di gridare, di rivelare un segreto.
Io la guardavo e mi pareva che ella recitasse una scena drammatica; ma in pari tempo mi sentivo anch’io assalito da un impeto di disperazione.
Quando si fu un po’ calmata le dissi:
— Senti, perchè fai così? Finiamola una buona volta. Dimmi tutta la verità: è vero che i denari mancano?
— È vero.
— Dimmi tutto, Columba, non aver paura. Dimmi che tuo nonno sospetta di me. È così? Non ricominciare; gli strilli sono inutili! Columba, se tuo nonno arriva fino a quest’infamia, io l’uccido!
Ella mi si gettò addosso e mi mise una mano sulla bocca.
— Columba, — dissi respingendola, — io adesso me ne andrò e non rimetterò più piede in questa casa. Ma ti aspetterò a casa mia; ti aspetterò uno, dieci, mille giorni. Se tu veramente mi ami devi lasciare questa casa. Io ti aspetterò.