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della mia adolescenza risalivano dal profondo dell’anima. «Perchè non viene a sedersi qui?» mi domandavo, ed ella sedette davanti a me e la signora che l’accompagnava lasciò che il bel viso velato della sua giovine compagna rimanesse in piena luce.

Quando ella sorrideva tutto il suo velo scintillava, ma il suo sorriso era breve, come se ella di tanto in tanto ricordasse qualcosa di triste e s’oscurasse in viso. Accorgendosi che la fissavo mi guardò minacciosa.

Non osai più guardarla, ma il suo ricordo mi seguì; pensavo: ecco una donna che potrebbe amarmi meglio di Columba!

Mi accorgevo però che pensavo a lei come bevevo l’acquavite: per stordirmi.

Al ritorno non vidi Columba sulla porta ad aspettarmi, e fino verso sera non andai a cercarla.

Ricorderò sempre; ella stava in cucina curva sul focolare volgendo le spalle alla porta. Quando sentì il rumore dei miei passi trasalì; senza alzarsi si volse e mi fissò coi grandi occhi spalancati.

— Jorgj, anima mia, mi hai fatto paura, — disse, prendendo con l indice un po’ di saliva e bagnandosene la gola per scacciare lo spavento.

— Oh Dio, perchè? Un tempo non eri così paurosa!

Ella si alzò offesa dal mio accento ironico.

— Non sai che avantieri sono entrati qui i ladri? — disse sottovoce, — e hanno rubato i denari del nonno; ti ricordi, quella cassettina che era nel ripostiglio della camera di sopra.... Io te l’avevo fatta vedere.... una volta.... ricordi?

— Ma ne siete certi? — domandai sorpreso.

— Sentimi. Il nonno era in campagna, era andato all’ovile. Io stavo in casa e pensavo: forse