Pagina:Deledda - Colombi e sparvieri, Milano, 1912.djvu/110


— 100 —

simpatia e quasi di pietà. Volevo avvicinarmi e dirgli: «tu ed io siamo due vittime, poichè essi ci ingannano entrambi: uno di noi due sarà più infelice dell’altro: quale?» ma poi sorridevo di me, sebbene sentissi che la vera vittima ero io. Il terzo giorno il rivale scomparve; io sedetti davanti a un caffè e cominciai a bere.... Ogni tanto mi domandavo: «che fare?» e mi pareva che avessi a risolvere un gran problema.

Donne e fanciulle passavano davanti a me, sotto gli archi fantastici delle fiammelle gialle e verdi che illuminavano la strada: paesane rosse e nere come papaveri, borghesi strette nei loro vestiti bianchi a guaina, col viso nascosto da canestri di fiori....

Che fare? Bere un quarto, un quinto bicchierino di «villacidru»1 e guardare un mento delicato, bianco come l’alabastro al riflesso della luna, due grandi occhi scuri e lucenti come il mare di notte, una fronte fasciata dall’ombra fosforescente di un velo....

Mentre l’onda della folla andava su e giù come seguendo il ritmo della musica, io mi dondolavo sulla mia sedia aspettando che la fanciulla velata passasse accanto a me, e provavo un’ansia infantile.

Ella passava: era vestita di seta argentea, era piccola ed agile, e l’abito molle un po’ largo alla vita disegnava le sue forme perfette. Le sue scarpine scintillavano; aveva le calze di seta color carne e pareva che il malleolo fosse nudo. Quando mi passava accanto io distinguevo tra i rumori della folla e della musica un fruscìo come di foglie agitate dal vento; rivedevo la vallata, una notte di luna, il mare che splendeva lontano. Tutte le fantasie e i ricordi romantici

  1. Acquavite all’anice.