Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
60 | la porta aperta |
— Para, io sono un uomo perduto: mi vien voglia di uccidere qualche cristiano, tanto sono disperato. Ho commesso i peggiori peccati. Fino a poco tempo fa ero un figlio di famiglia, para, figlio unico. A venti anni dormivo ancora con mia madre; ma appena morta lei i cattivi compagni mi hanno assediato come le mosche un granellino d’uva passa; e mio zio, che pure è un sacerdote, mi ha cacciato via di casa, invece di aiutarmi, e volta la testa dall’altra parte, quando mi vede. Sì, tutti i peggiori peccati ho commesso: ho giocato, ho bevuto, sono andato dalle male donne, ho consultato le fattucchiere, ho giurato invano, ho desiderato il male al prossimo, ho desiderato la roba altrui, ho commesso il... falso... sì... para... ho falsificato una firma, e fra giorni la cambiale scade.... ed io dovrò andare in carcere e sarò disonorato.... Tutta la colpa è dei cattivi compagni, i quali adesso mi hanno abbandonato: e tutte le porte mi son state chiuse.... e non c’è più una porta aperta, per me! Ma sono pentito, para, e andrò in carcere, ed espierò, ma datemi l’assoluzione del Signore, ch’io possa fare il precetto pasquale e soffrire innocente come Cristo Signore Nostro.
Il frate priore ansava e non rispondeva. Simone, col viso scarno e nero di beduino fra le mani, ansava anche lui e pensava:
— Forse egli è scandalezzato: forse prova piacere a sentire che, in fondo, la causa della mia rovina è mio zio prete Barca. I frati e