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il cinghialetto 55


sopra i dentini bianchi come granellini di riso.

D’improvviso, mentre la serva era in sala da pranzo, signoriccu precipitò in cucina: vestito di azzurro, coi capelli lisci e lucenti come una cuffia di raso dorato, egli sembrava un angioletto, e volava anche, da una sedia all’altra, dai fornelli alla tavola, da questa alla finestra. Vide la pistola, la prese con precauzione, la rimise nel buco: e non gridò di gioia, ma i suoi occhi diventarono metallici e selvaggi come quelli del gattino.

Si slanciò sul cinghialetto, mentre il gatto, più astuto, fuggiva, lo prese e lo portò nell’orto, in direzione della finestra di cucina.

— Questa volta è per davvero! — gridò saltellando. — Sta lì fermo.

Il cinghialetto fiutava i cespugli: era felice, sazio e beato; vedeva signoriccu alla finestra di cucina, con una pistola in mano, ma non capiva perchè il gattino, là dall’alto della quercia, gli mostrasse ancora i denti e lo guardasse coi grandi occhi verdi spaventati.

Una nube violetta lo avvolse: stramazzò, chiuse gli occhi; ma dopo un momento sollevò le corte palpebre rossicce e per l’ultima volta vide i più bei colori del mondo — il verde della quercia, il bianco della casina, il rosso del suo sangue.