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52 | il cinghialetto |
dava un libro pieno di figure strane: erano donne e uomini coperti di pelliccie, di teste di volpe, di code di faina; erano pelli d’orso, di leopardo, di cinghiale: si vedeva bene che il fanciullo dai capelli d’oro amava le bestie feroci. Appena vide il cinghialetto buttò il libro e tese le braccia gridando:
— Dammelo, dammelo!
La mamma, una bella signora alta e bionda in vestaglia azzurra, si curvò su lui spaventata.
— E che, lo vuoi a letto, amor mio? Sporca tutto, sai: lo mettiamo in cucina, e appena ti alzerai giocherai con lui.
— Io lo voglio qui! Dammelo o butto in aria lo scialle e mi alzo.
Glielo diedero: e la fuliggine del forno ove era stata trovata la carne della pecora rubata da Franziscu Cambedda macchiò il letto del figlio del giudice.
Pascaleddu raccattò il libro di figure e lo guardò fisso.
— Lo vuoi? prenditelo, — disse la signora.
Pascaleddu lo prese e se ne andò: di fuori i monelli lo attendevano, e cominciarono a domandargli che cosa aveva ricevuto in cambio del cinghialetto, e lo sbeffeggiarono, gli tolsero il libro.
Ma Pascaleddu lo strappò loro di mano, se lo strinse sotto il braccio e via di corsa: gli pareva di aver almeno un ricordo del suo povero amico.