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un grido nella notte 39


a un tratto, uscite di chiesa alcune donnicciuole di Mamojada, si trovò sola, inginocchiata sui gradini ai piedi dell’altare.

«Rimasi sola, — ella raccontava con voce ansante, aggrappandosi a me come una bambina colta da spavento. — Continuai a pregare, ma all’improvviso sentii un susurro come di vento e un fruscio di passi. Mi volsi, e nella penombra, in mezzo alla chiesa, vidi un cerchio di persone che ballavano tenendosi per mano, senza canti, senza rumore; erano quasi tutti vestiti in costume, uomini e donne, ma non avevano testa. Erano i morti, maritino mio, i morti che ballavano! Mi alzai per fuggire, ma fui presa in mezzo: due mani magre e fredde strinsero le mie.... ed io dovetti ballare, maritino mio, ballare con loro. Invano pregavo e mormoravo:

Santu Cosimu abbocadu,
Ogademche dae mesu
....1

quelli continuavano a trascinarmi ed io continuavo a ballare. A un tratto il mio ballerino di destra si curvò su di me, e sebbene egli non avesse testa, io sentii distintamente queste parole:

«— Lo vedi, Franzì? Anche tu non hai badato al mio grido!

«Era lui, marito mio, il malcapitato fanciullo. Da quel momento non ci vidi più.

  1. San Cosimo avvocato, — levatemi di mezzo....