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vatta rossa svolazzante, l’insieme della figurina gli dava un senso di gioia. Quei gridi di gioia gli vibravano in cuore come gli squilli della campana che annunziava la Pasqua giù in paese.

Più tardi Onoria ritornò presso il vecchio e gli chiuse gli occhi con le mani. Ma egli vedeva egualmente il servo andare qua e là, fra le roccie grigie e le ginestre gialle, raccogliendo e caricandosi sul braccio le fronde di vitalba e le rose canine staccate dalla padroncina.

Il servo salì dietro la vigna, depose il suo mucchio alle spalle del padrone, illudendosi di non esser veduto, e ammiccò verso Onoria.

— Adesso vi tengo fermo, — ella disse, tirando su un tralcio d’edera e passandolo intorno alle braccia del vecchio.

Egli rimase immobile.

— E questa sul capo. Oh nonno, sembrate Pan! No, meglio la vite. Sembrate Bacco. Cantate.

Egli non rispose.

— E questo in mano. Prendete: è una rosellina di macchia con un’ape dentro. Sembrate Aristèo....

Ella si allontanava indietreggiando per veder meglio l’effetto della decorazione. E il vecchio, sullo sfondo del pendìo verde dorato di ginestre, pareva davvero un tronco secolare di sovero, rivestito d’edera e di pervinche.

I contadini salutavano dalla vigna guardando in su col pugno terroso sulla fronte: alcuni