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i tre fratelli 295


La donna si alzava di tanto in tanto, per andare a bere una tazza di caffè, nella piccola cucina tiepida e ordinata; poi tornava a cucire, aspettando qualche visita. Questa era la sua felicità.

E le visite non mancavano. Erano le vecchie zie che tornavano dalla predica e ancora piangevano la morte e passione di Nostro Signor Gesù Cristo, era zio Felix il vecchio contadino che potava gratis tutti i pergolati e le piante degli orti dei suoi conoscenti, eran le madrine dei fratelli morti di Pauledda, erano le coetanee di questa, tutte prioresse delle feste religiose del paese e della campagna. I discorsi erano innocenti, allegri: se però le vecchie zie di Pauledda si decidevano a parlare male di qualcuno era un disastro: lo prendevano vivo, lo lasciavano morto. Un giorno presero appunto a parlar male dei figliastri di zia Carula.

— Ti sembrano tanti studenti, agghindati, coi capelli unti, con la cintura stretta: sempre in giro, sempre in cerca di qualcosa come la volpe. Uno, quello che si crede Andria Maronzu perchè gli rassomiglia, e fa il bello, Predu Paulu, dicono persino che abbia l’amica, in un altro paese, una donna che lo ha ospitato una volta che è stato ferito o che è caduto da cavallo, non so. E una vedova, ricca, che però non vuole sposarlo.

Pauledda serviva il caffè, e le tazzine tremarono sul vassoio quando la vecchia zia concluse: