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290 | i tre fratelli |
fino a riuscire, contentando così il pretendente e salvando il suo amor proprio.
Per Pauledda aveva parecchie domande, ma non osava presentarle, certa del rifiuto. Ogni giorno però nei loro innocenti colloqui l’argomento era sempre quello.
— Che vuoi, Carula mia, — diceva Pauledda, seduta a cucire sotto il pergolato che copriva tutto il cortile, — non tutte le donne sono nate per avere lo stesso destino. Io, per esempio, dopo aver passata tutta la fanciullezza a faticare ed a pensare agli altri, ricordati che famiglia numerosa era la nostra, adesso sono abituata a viver sola, e non posso sopportare la compagnia di nessuno. Sono tranquilla in casa mia, seduta come una signora sulla scranna, e mi pare di essere arrivata al porto dopo una tempesta. Ah, perchè devo di nuovo rimettermi in alto mare?
Zia Carula, piccola e tutta scintillante nell’ombra ricamata di sole del pergolato, versava il suo caffè nel piattino e soffiandovi su approvava.
— Sei una signora, sì; stai bene, sì, sulla tua scranna. Ma il marito è sempre il marito....
— Ne conosco io, di mariti, il lampo li morsichi!..
— Sì, ce ne sono, di libertini e scapestrati, ma per te ce ne sarebbe uno.... che.... lasciami finire, eh, non mi esce la peste di bocca.... poi....
Ma Pauledda faceva tali gesti di protesta,