niva dietro, i fanciulli lanciavano pietre. Io avevo paura che mi condannassero a trent’anni. Tornerò vecchia, pensavo, ed anche lui, mio marito sarà vecchio. A che servirà allora? Mi dispiaceva di aver ammazzato il gattino, sì, mi dispiaceva davvero. Tu ridi? Ti giuro, che io non possa arrivare a casa mia, che mi dispiaceva. Che colpa aveva quell’animale innocente? Da vent’anni a questa parte, ti giuro, ogni tre notti vedo in sogno quella povera bestiuola. Sì, — proseguì dopo una breve pausa, — nel dibattimento tirarono fuori anche la storia del gatto, ed il pubblico ministero disse che io ero crudele. Crudele! Mi fanno ridere questi uomini della giustizia! Io dissi: «Provatevi voi, monsignori, provatevi voi ad esser traditi e provocati, e vediamo che cosa fate! Ah, voi parlate lì, dal banco, seduti, calmi; ma voi non sapete cosa sia la rabbia, l’ira, la gelosia, il dolore. Sì, anche quel gatto mi ha fatto rabbia; ora mi pento di averlo ammazzato; ma in quei momenti non si vede più nulla. E il soldato, poi, perchè veniva a mettermi le mani addosso? Non sapevo io il mio dovere? Era il re, e doveva arrestarmi, sì, ma io sapevo il mio dovere e sapevo che Dio doveva assistermi. E così mi presi venti anni di reclusione. Adesso ritorno. Ho passato il mare, ho veduto tante cose. Mi misero in libertà a Nuoro, e mio marito venne col carro per ricondurmi al paese. Dopo tutto io sono sempre sua moglie: e la moglie è legata al marito, alle viscere del marito, come il bam-