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276 | libeccio |
— Agata! Tu piangi? Agata? Agata?
E anche lui si accovacciò accanto a lei, e formarono un solo dolore, un solo tormento nella notte tormentata, uniti congiunti in mezzo a tutto quel dolore notturno come il doppio seme entro il nocciolo di un frutto.
Agata piangeva sulla spalla di lui e gli raccontava la sua pena.
— Io non volevo venire, qui, sai? Tu sai tutti i nostri affari; siamo vicini di casa! Ma il dottore disse: è debole, portatela al mare. Allora mio marito volle venir qui, perchè venivano anche loro, mia sorella col marito. Io dicevo: andiamo in un altro posto; ma dovetti ubbidire. Egli voleva costrurre la capanna accanto alle loro, ma poi pensò ch’era meglio farla lontana perchè io non vedessi.... E così anche tu sei venuto, Diego, ma non per me.
Lo respinse a un tratto, mettendogli le mani sul petto, ma egli la riafferrò, silenzioso, la serrò a sè, silenzioso. Tremava tutto, a occhi chiusi. Vedeva tutto lagrime e sangue, come là dentro il mare.
— Così, se egli mi uccide son contenta. Così morrà anche mio cognato e loro due potranno sposarsi. E tu sarai contento con loro!
Tornò a staccarsi e rise, col viso al cielo, ebbra di dolore. Egli la costrinse a rimettere il viso sulla sua spalla e tacque. Taceva e tremava, morsicandosi le labbra ancora salate di sabbia.
Il vento si aggirava intorno a loro come una belva saltellante; ma non riusciva che a