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la festa del cristo 253


— Sì, è vero! — confessò allora Istevene, un po’ ansando, accomodandosi la berretta contro l’uscio.— L’avevo da un mese, nascosto, e adesso ch’è morto il padrone l’ho tirato fuori. Ma oggi stesso lo restituirò ai parenti....

Ma siccome prete Filìa, diventato quasi maniaco, insisteva e gridava perchè Istevene confessasse davanti a tutti, compare Zua gli turò la bocca con la mano, lo trascinò indietro, lo fece di nuovo sedere sul coro.

— E tacete, — gli disse, curvo, guardandolo negli occhi. — Siamo tutti peccatori! Cose del mondo! E chi ha peccato con la serva, e chi ha preso il cavallo all’avaro, e chi questo e chi quello! E io? Ne ho una bisaccia, di peccati! E voi? E per questo c’è bisogno di venire a far scandali in una festa? In luogo straniero? Be’, zitto e fermo se no vi lego!

Così, un po’ ridendo un po’ sul serio, riuscì a calmarlo.

Istevene era già andato via, passando dietro il paese, per non esser più veduto dai compagni. Andò per riprendere il puledro e ripor tarlo ai parenti dell’avaro: ma cerca, cerca, l’animale non si trovò più. Qualcuno l’aveva rubato.