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la cerbiatta 225


nuova erba di autunno era una pace biblica: il sole cadeva roseo sopra la linea violetta dell’altipiano del Goceano, la luna saliva rosea dai boschi violetti della terra di Nuoro. L’armento pascolava tranquillo, e il pelo delle giovenche luceva al tramonto come tinto di rosso; il silenzio era tale che se qualche voce lontana vibrava pareva uscisse di sotterra. Un uomo dall’aspetto nobile, vestito di fustagno, ma con la berretta sarda, passò davanti alla capanne guidando due buoi rossicci che trainavano l’antico aratro dal vomero argenteo rivolto in su. Era un nobile povero che non sdegnava di arare e seminare la terra. Senza fermarsi salutò il vecchio Baldassare.

— Ebbè, l’hai veduta oggi la tua innamorata?

— Ancora è presto: se non ha fame non s’avvicina, quella diavoletta.

— Che fai con quella pelle?

— Un legaccio per le scarpe. Ho scoperto che la pelle di martora è più resistente di quella del cane.

— Prende più pioggia, guarda un po’! Bè, statti con Dio.

— E tu va con Maria.

Sparito l’uomo col suo aratro lucente come una croce d’argento, tutto fu di nuovo silenzio; ma a misura che il sole calava, il vecchio guardava un po’ inquieto verso la linea di macchie in fondo alla radura, e infine smise la sua faccenda e rimase immobile. Le vacche si ritiravano nelle mandrie, vol-