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lasciare o prendere? 195


bandonato suo padre. Sapeva che don Giame, sotto la sua apparente trascuranza, teneva molto agli usi e alle tradizioni del paese: tornando a casa solo gli sarebbe parso di cenare in compagnia dei Morti!

Ma Giuseppe non poteva muoversi; sentiva un malessere profondo, un cupo dispetto contro sè stesso e contro tutti: gli sembrava che una forza occulta lo trascinasse, che tutto intorno a lui fosse un po’ irreale e fantastico, come se avesse bevuto anche lui il vino forte che trascinava al ballo persino i vecchi e le donne sofferenti. Una voce gli diceva: — Va, muoviti, va da tuo padre. Stanotte anche i figli lontani e perversi tornano alla casa paterna. Tornano persino i morti.... E tu non torni....

— Sciocchezze! Avanzo di tenebre antiche! — rispondeva a sè stesso scrollando le spalle.

Ma intanto sentiva una tristezza dispettosa, a star lì immobile su quella panca che odorava di vino, in quella cucina fumosa ove le figure preistoriche si movevano come nel chiaroscuro d’una grotta. Le ore passarono: i galli annunziarono col loro grido che la festa doveva finire, e gli uomini sazî di carne e di vino caddero uno dopo l’altro sulle stuoie come abbattuti da una mano invisibile.

Gl’invitati se ne andarono, e anche Giuseppe s’avviò alla sua triste casa. La luna tramontava e la montagna su in fondo ai vicoli pareva un velo azzurro: figure ed ombre erano scomparse, eppure nell’attraversare lo spiaz-