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188 lasciare o prendere?


viso un po’ quadrato, sotto la linea nera e dritta dei capelli divisi in mezzo ma tirati e lisciati bassi sulla fronte, ha qualcosa di egiziano.

Gli uomini, invece, riuniti nella piazza che Giuseppe attraversò per recarsi a casa sua, erano agili e belli, con calzature leggere e corsetti rossi a striscie di broccato: ricordavano i toreadori, come del resto tutto il paesetto con la sua chiesa e il convento di Gesuiti, i balconi di legno, i melograni sui pozzi di roccia, i fazzoletti frangiati e fioriti delle donne, i vecchi contadini sui cavalli bianchi, ricordava la Spagna primitiva. La casa di don Giame guardava verso la grande vallata: dal ballatoio malsicuro Giuseppe rivide il paesaggio grandioso che aveva disegnato un degno sfondo ai suoi sogni di adolescente, e, se non altro, respirò. La casa era aperta ma sembrava disabitata; Giuseppe salì alle camere superiori e solo allora sentì un lamento che usciva dalla stanza della serva. Steso sul lettuccio di legno coperto da una specie di arazzo grigio e giallo, vide un uomo dal visetto rosso raggrinzito, con gli occhi lucenti come due perle.

— Zio Pera, siete voi?

Ma l’uomo, che annaspava le lenzuola con le piccole mani rosse e sudate, aveva la febbre alta e delirava.

— Giame, figlio di latte, ti dico che è così! Prendili i denari; sono tuoi; tuoi, ti dico! A cui devo lasciarli, se no? Alla Chiesa? I