Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu/162

156 la scomunica


dolore all’anca. Sono stata nella città, a curarmi, e le medicine non m’han fatto niente e i dottori m’hanno mandato un conto spaventoso come quello degli avvocati. Basta, non voglio neanche pensarci. Del resto tu lo sai, io non sono mai stata attaccata alle cose del mondo. Le mie piccole rendite vanno tutte al re, per i tributi. Neanche una messa si può dare, più, neanche un’elemosina, tanto il fisco ci succhia il sangue. Ci fosse almeno la salute, Juannì! Neanche questa c’è; nulla più c’è, Juannì; la vita si vuota a poco a poco come un sacco bucato.

— Peggio per te che non ti sei maritata. Non ti han voluto, tu dici? Alla forca le bugie! Sei tu che lo volevi dritto infilato in una verga d’oro, il marito!

— Non è vero, — ella disse con la sua voce monotona e velata. — Io non ho mai badato alle cose del mondo. Basta; passiamo davanti a Sant’Elia.

— Intanto ha paura del trepiede, — pensò l’uomo. — Non è attaccata alle cose del mondo, lei! E quante volte le ho chiesto inutilmente un prestito! Anche quando mia moglie moriva, povera lucertola, lei, cugina mia, mi ha negato tre scudi che mi servivano per il dottore venuto da Nuoro. Sborsa adesso! Sul trepiede! Scòttati!

Ed ella intanto lo guardava alle spalle e un fugace rossore le coloriva la parte scoperta del viso. Eccolo lì! Che stupido, che semplice, che santo di legno! Anche a dirgli in buon