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144 al servizio del re


Zio Salvatore s’alzò livido d’ira.

— E tu, — gridò, puntandogli un dito sul petto, — tu ti sei lasciato metter le mani addosso? Tu ti sei lasciato misurare il naso? Che uomo sei tu? Non so chi mi tiene dal prenderti a calci e mandarti fuori di qui!

— Magari! Provate, ziu Serbadò!

L’altro vecchio non pronunziò parola; ma le sue narici fremevano, e le sue mani piccole e nere, coi pollici cacciati dentro la cintura, s’agitavano e si contorcevano come artigli.

Uno per volta i detenuti furono misurati, esaminati e fotografati: ma quando venne chiamato il vecchio ricco egli s’alzò fiero, imponente, s’tringendosi con la mano sinistra la lunga barba. Squadrò con disprezzo la guardia carceraria, poi le puntò un dito sul petto.

— Io? Io lasciarmi metter le mani addosso? Le metto piuttosto addosso a te, io le mani...

La guardia indietreggiava.

— Ohè, ohè, che fate?

— Faccio quello che mi pare e piace! Hai capito, morto di fame! Anima venduta, va via di qui, subito! Io sono abituato a comandare, capisci, e nessuno, neppure il diavolo, si permetterà mai di mettermi le mani addosso.

La guardia uscì, ritornò, chiamò l’altro vecchio.

Ma anche questo non si mosse. Non s’alzò neppure. Sollevò appena gli occhi neri, ancora lucenti, aprì alquanto la bocca, come i cani quando accennano a mordere, e fece un ge —