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142 | al servizio del re |
L’altro, un vecchio alto, magro, col viso color di rame circondato dalla barba nera e giallastra, e i denti ancora così belli che sembravano falsi, neppure si degnava di rispondere agli scherzi dei compagni.
— Figuriamoci che piova, — propose un giovinetto, — stiamo qui e giochiamo a carte.
Ma i giorni e le notti passavano, e i detenuti cominciavano a inquietarsi e a stancarsi. Alcuni erano innocenti, altri avevano sofferto persecuzioni e angherie da parte dei banditi, altri li avevano protetti per paura. Si confortavano pensando che centinaia d’uomini erano «dentro» sotto la stessa accusa, ma oramai lo scherzo durava un po’ troppo.
— Che farà mia moglie, povera donna: hanno arrestato suo padre, i suoi fratelli; hanno arrestato me, il servo, tutti. Ella è rimasta sola in casa, sola come una fiera....
— Io avevo tre vacche malate; a quest’ora saranno morte. Sono rovinato....
— Mia madre piangeva disperatamente, — diceva il giovinetto, ricordando l’ora tenebrosa.
— Piangerà e poi cesserà di piangere, — disse con disprezzo zio Salvatore, il ricco.
E quando gli altri si lamentavano perchè i loro interessi andavano male, egli raschiava e sputava e diceva insolenze: «mendicanti» «morti di fame» «immondezze» erano i nomi più dolci che dava ai compagni.
Un bel giorno, dopo essersi raccontati tutti i loro guai, dopo essersi vantati di cose non